Due chiacchiere con Lodovico Marchisio
di Gabriella Bernardi
Da anni lo si vede
scalare montagne, impegnato a realizzare nuove vie, dedicarsi al servizio
volontario nei parchi regionali, in prima linea per la difesa della natura e
dei suoi animali, ma quando non è in giro non disdegna una scrivania e un
computer per scrivere guide, libri e poesie o partecipare a concorsi. È stato
anche immortalato in una pellicola amatoriale nei panni di un simpatico
ispettore intento a risolvere dei misteriosi casi. Ma chi è veramente Lodovico
Marchisio? Iniziamo con ordine.
Quando scocca la tua passione per le
montagne e come sei diventato alpinista?
“La mia passione per la
montagna è iniziata a 14 anni, anche se nessuno dei miei genitori era alpinista
ma solo grandi amanti della natura. È nata per caso in una piccola borgata
delle Alpi Liguri, Frabosa in Val Maudagna, perché ogni estate andavo lì in
villeggiatura con i miei genitori ed ero sempre più attratto da un roccione
alto 80 metri che in seguito ho valorizzato. I contadini ci imprestavano le
loro corde per legare i vitellini – si pensi quindi che sicurezza potevamo
farci senza l’uso di chiodi e moschettoni (era l’anno 1961)! Scoperte le mie
“imprudenze”, dettate da una passione più grande di me che mi assorbiva totalmente,
mia madre m’iscrisse al CAI sezione di Torino, dove sono tuttora iscritto come
reggente di una sottosezione aziendale del circolo Unicredit. Attratto in primo
acchito più dal mistero dell’esplorazione che dalla vetta in sé, avevo iniziato
calandomi in voragini verticali per scoprire anfratti e grotte che sparivano
misteriosamente in abissi senza fine, alcuni con torrenti che come inghiottitoi
piombavano con fragore tipico delle cascate in un mondo senza luce, nel vuoto
oscuro delle viscere della terra. Inizialmente anche qui mi calavo con scale
per raccogliere le ciliegie e senza attrezzatura alcuna: si riusciva così a
scendere solo di pochi metri, poi ci si doveva arrendere sospesi su abissi di
cui non si scorgeva il fondo, legati a corde di fortuna con la scala che il più
delle volte era inghiottita anche lei in quell’immenso vuoto – e il rumore che
faceva precipitando ci faceva capire quali profondità avessimo sotto i nostri
piedi! Era quindi impensabile riuscire a scoprire con pile e scale improvvisate
cosa celasse il mondo nascosto della speleologia, rischiando per contro
tantissimo, con seria preoccupazione di chi ci forniva questi rudimentali
sistemi di discesa e assicurazione. Non per niente mio nonno materno mi aveva
comprato un cannocchiale perché mi aveva sempre affascinato il mistero del
cosmo, solo che guardando le stelle non potevo avere risposte concrete, mentre
scalando una montagna o scendendo nelle sue viscere potevo soddisfare la mia
bramosia di sapere cosa si celasse nella natura attorno a me. Col CAI UGET m’iscrissi
a un corso di speleologia, e scoprii il fascino del sottosuolo. Solo che mi
mancava troppo la luce del sole; così, verso i 19 anni, iniziai a scalare
seriamente le montagne, pur amando tuttora quello che mi aveva donato il mondo
sotterraneo”.
Scalare è stata la tua principale
attività?
“La montagna non è mai
stata la mia professione perché, anche se ci ho provato iscrivendomi al corso
di roccia nel corpo degli Alpini, la mia carriera militare per diventare
istruttore di roccia fu stroncata da un incidente di scalata alla mia prima
licenza: infattii caddi in arrampicata da 20 metri nell’orrido di Oulx e il
servizio militare lo finii in caserma a Torino perché per un anno dovetti
portare un pesante gesso, essendomi fratturato tre vertebre dorsali”.
Dove ti ha portato questa passione?
“A scalare le più belle
vette delle nostre Alpi, e a trentotto quattromila sugli ottantadue esistenti,
che mi hanno permesso di far parte del “Club 4000” di cui sono tuttora socio
attivo. Per la nascita della mia primogenita e problemi di lavoro non mi sono
mai spinto fuori dall’Europa, e questo resta il mio più grande sogno
incompiuto. Oggi non ho più l’età di farlo, quindi la mia più alta vetta delle
Alpi resta il Monte Bianco”.
Cosa ti ha dato, ma anche cosa hai dovuto sacrificare, per l’alpinismo?
“Più che sacrificare altre mete la mia è diventata una scelta di vita e pur non essendo mai stato un grande alpinista, questa passione mi ha portato a pubblicare 24 libri di montagna dei quali 18 guide di itinerari e sei romanzi autobiografici di montagna; a salire 34 vie nuove tra falesie e via di scoperta, ideando e inaugurando anche cinque nuovi sentieri (Sentiero degli Orridi in Val di Susa, Sentiero Francesco Musso in Val Maudagna; Parco della Dora, tratto Collegno - Torino; Sentiero attrezzato sopra le Cascate di Novalesa; Sentiero Cai 150 ad Avigliana); a diventare accompagnatore d’escursionismo titolato dal Cai rilasciato dalla Commissione Centrale per l’Escursionismo; e a conseguire la specializzazione EEA che mi abilita ad accompagnare anche gli appassionati su vie ferrate”.
Secondo te oggi l’alpinismo è ancora di attualità?
“Come ti ho accennato, sono diventato accompagnatore CAI, oggi organizzo e conduco gruppi di appassionati trasmettendo loro le mie emozioni perché dopo aver asceso tante vette, a volte senza guardarmi attorno per la smania di conquistare la cima, ho imparato anche a osservare ciò che mi circonda quando cammino o scalo, per godere appieno della natura. Così riesco a trasmettere a chi mi segue un più ampio panorama di cosa sia la montagna. L’alpinismo è sempre attuale. Cambia il modo in cui si vuole raggiungere una meta”.
Come è cambiato?
“I precursori dell’alpinismo ascendevano la vetta in condizioni limite, senza l’attrezzatura odierna e a loro va tutto il grandissimo merito delle conquiste che hanno dato inizio a questa magnifica passione, costata anche tante vite umane. Col passare degli anni tecniche sempre più raffinate, a volte contestabili, con spit, fittoni resinati e nuovi sistemi di sicurezza, hanno un po’ tolto il fascino dell’avventura e del rischio insito, ma hanno anche permesso di superare in tutta tranquillità il fatidico sesto grado di un tempo. Ti faccio un esempio. Io ho due figli alpinisti e Stella, la mia primogenita, ha seguito il marito (campione del mondo di arrampicata sportiva) trasferendosi in Canada. Con mia figlia e mio figlio ho fatto dell’alpinismo di conquista, salendo un’infinità di monoliti che il grande e compianto alpinista e amico Giancarlo Grassi aveva definito “Torri di magia”. Quando mia figlia è diventata campionessa di arrampicata, anche premiata dal Coni come atleta dell’anno, aveva dovuto lasciare la magia della vetta per conquistare “una catena” o il “traguardo” in una gara, che sono il punto di calata in quanto la meta non è più un punto ideale da raggiungere, ma il superamento massimo della difficoltà fine a se stesse”.
Cosa intendi promuovere o comunicare
quando organizzi gite o uscite in Piemonte o nelle regioni confinanti?
“Ti rispondo con il motto che mi è più caro: La vita ha per me uno scopo solo se le emozioni che ho avuto la fortuna di provare, riesco a trasmetterle agli altri per condividerle. Grazie al cielo il mio secondogenito Walter abita con la sua compagna e un’adorabile bambina a soli trenta chilometri da me e insieme continuiamo a scalare, anche se l’età mi pone dei limiti inevitabili”.
Non t’interessano solo le vette o il percorso ferrato,
ma sei impegnato da anni sul fronte della tutela della fauna …
“Sono anche un operatore naturalistico regionale a difesa del territorio montano e faccio tuttora parte della Commissione Tutela Ambiente Montano del Piemonte e Valle d’Aosta di cui sono stato anche presidente sino a fine mandato. Ho avuto e ho esperienze incredibili, non sempre portate a casa con i risultati sperati perché sia nella caccia che nell’abuso del territorio ad uso speculativo, vi sono così grandi interessi economici ed è difficile cambiare le cose, anche se ci batteremo sempre per salvaguardare l’ambiente. Sul discorso “difesa degli animali” conosci come mi sia battuto e lotti tuttora per loro … “
Non è insolito incontrarti a premiazioni di concorsi letterari: oltre ad aver scritto tanti libri tecnici sulla montagna, sei appassionato anche di prosa e poesia?
“Certo che sì. Con la poesia e la narrativa puoi trasporre la realtà in sogno e viceversa. Mi viene spontaneo commuovermi, da sentimentale quale sono, se penso a come miscelando il tangibile con l’intoccabile si sfiorino i margini della vita stessa”.
È recente l’inaugurazione di un ponte tibetano su una via ferrata, poco sotto la Sacra di San Michele in Val di Susa: quale è stato il tuo contributo?
“Del ponte sospeso sulla nuova via ferrata della Sacra non ho merito alcuno, se non come Osservatorio Ambiente poiché sia le amministrazioni locali sia i costruttori hanno dovuto prendere in considerazione le nostre, e di tanti altri, segnalazioni di come il vecchio percorso potesse disturbare la colonia di camosci che vive e si sposta lungo le falde rocciose del Monte Pirchiriano”.
Chi può accedere a questo ponte?
“Con un kit da ferrata omologato (imbragatura, casco, etc.) chiunque può avvicinarsi a questi percorsi: mai da soli, però. Oggi di questi ponti ne esistono a centinaia sulle nostre Alpi. Il toponimo era nato dai primi ponti tibetani costruiti per attraversare torrenti ed ostacoli durante le spedizioni himalaiane. Ne esistono di tutti i tipi. I più difficili sono quelli chiamati “ponte de singe” costituiti da una fune per i piedi e due per la mani, più un cavo (a volte) ove far scorrere i moschettoni di sicurezza. I più ostici sono poi quelli per “acrobati” con soli due cavi di sostegno (uno per i piedi e uno per la mani), ma questi come alcuni passaggi di forza che superano tetti e strapiombi costruiti su alcune ferrate, secondo me accontentano solo i rambo e senza una via di fuga accanto, costituiscono invece una difficoltà troppo elevata per i meno avvezzi. Ma questo discorso varrebbe un capitolo sé stante”.
Altre passioni in agguato?
“Con due validissimi coautori aviglianesi stiamo per ultimare quello che per me sarà il venticinquesimo libro pubblicato. Un progetto editoriale riguardante Avigliana, dove ora vivo, città medioevale dal cuore verde. Libro imperniato sul camminare ad Avigliana e dintorni, trenta capitoli con descrizioni dettagliate degli itinerari e richiamo ai punti di interesse storico, artistico e naturalistico, ai luoghi e personaggi dello sport, ai Maestri del gusto e alle eccellenze gastronomiche del territorio. La prima presentazione, prevista nella seconda quindicina di marzo, sarà nella Sala Consiliare di Avigliana. Per finire, parlare di passioni in agguato alla soglia della settantina mi sembra un po’ avveniristico. I miei sogni più immediati sarebbero quelli di vedere mio figlio con un lavoro stabile e poter almeno una volta far visita a mia figlia e alle nipotine in Canada”.
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