venerdì 24 febbraio 2017

2 gg in quota,a un passo dal Cielo












Da Courmayeur a Plan Pincieux al Rifugio Bonatti e sopra e ancora sopra su panettoni di neve intonsa, solo qualche zampettina e qualche traccia di sci nordico. Uno stacco per respirare, riempirci gli occhi di purezza… a breve i resoconto

venerdì 17 febbraio 2017

Un caro amico mi trasmette questo, ve ne rendo partecipi


Siria: la verità di un prete

PADRE MAES

Padre Daniel Maes ha 78 anni, è belga e dal 2010 opera nell’antico monastero di Mar Yakub a Qara, a 90 km a nord di Damasco.
È stato chiamato lì direttamente da Madre Agnes-Mariam della Croce, la controversa suora accusata in Occidente di essere un agente al soldo di Assad per la sua attività di contro-informazione sulla guerra in Siria.
Quella di Padre Maes è una figura importante dei cristiani siriani (sopratutto della comunità cattolico-melchita) non solo per la sua attività pastorale, svolta anche nei momenti più terribili della guerra, ma anche perché il suo sguardo è quello di un europeo che ha vissuto con i propri occhi quello che in questi anni è accaduto in Siria.
Qualche settimana fa è stato intervistato da un giornale olandese AD (Algemeen Dagblad) per raccontare la “sua” verità su questa guerra.
Padre Maes parla delle rivolte di piazza che, come in uno schema riprodotto già in Tunisia, in Libia e in Egitto, nel 2011 avrebbero dato origine alla guerra civile: “L’idea che una rivolta popolare abbia avuto luogo contro il presidente Assad è completamente falso. Sono a Qara dal 2010 e ho visto con i miei occhi come agitatori provenienti dall’esterno della Siria hanno organizzato proteste contro il governo e reclutato i giovani; e quello che loro giravano veniva trasmesso da Al Jazeera per dare l’impressione che una ribellione fosse in atto. Ho visto gli omicidi commessi da terroristi stranieri contro le comunità sunnite e cristiane nel tentativo di seminare discordia religiosa ed etnica tra il popolo siriano”.
UN PAESE ARMONIOSO
Spiega che prima della guerra, la Siria era “un paese armonioso: uno stato laico in cui le diverse comunità religiose vivevano fianco a fianco in pace”. Uno Stato autoritario certo, repressivo spesso come tutti i regimi mediorentali, ma una nazione dove la libertà della minoranza cristiana era garantita.
E che la Siria di Assad fosse uno dei paesi più avanzati del Medio Oriente, uno dei pochi con una classe media intraprendente e benestante, con servizi sociali all’avanguardia per gli standard della regione, è cosa risaputa.
Ora la guerra ha distrutto tutto. Come ha documentato Razziye Akkoc sul Telegraph, il paese che aveva uno dei tassi di alfabetizzazione più alti del Medio Oriente ora vede il sistema scolastico a pezzi con oltre il 45% dei bambini che non possono più frequentare le scuole (a causa del conflitto o perché distrutte) con un impatto drammatico sulle future generazioni; il paese che aveva uno dei sistemi sanitari più avanzati del mondo arabo oggi ha la metà degli ospedali distrutti e i medici costretti a fuggire, con l’aspettativa di vita scesa a 55 anni (era del 70 nel 2010).
I RIBELLI MODERATI
Padre Maes ricorda quando i famosi “ribelli moderati” esaltati dall’Occidente occuparono la sua città, Qara: erano in “migliaia, venivano dai paesi del Golfo, dall’Europa, dalla Turchia, dalla Libia e c’erano molti ceceni. Hanno formato una forza di occupazione straniera, tutti alleati di al Qaeda e di altri gruppi terroristici. Armati fino ai denti dall’Occidente, ci hanno letteralmente detto: «questo paese appartiene a noi ora»”.
LA PIÙ GRANDE MENZOGNA
L’intervistatore lo incalza: “Lei dice che l’esercito siriano protegge i civili, ma ci sono diversi rapporti sui crimini di guerra commessi dalle forze di Assad, come ad esempio i bombardamenti con bombe a botte”.
La risposta di Padre Maes non lascia adito a dubbi:“Non capite che la copertura mediatica sulla Siria è la più grande menzogna del nostro tempo? Hanno venduto pure assurdità su Assad. Voi pensate che quello siriano sia un popolo di stupidi? Che la gente faccia il tifo per Assad e Putin perché costretta? Gli americani hanno responsabilità in tutto questo per impossessarsi delle risorse naturali (…) e Arabia Saudita e Qatar per creare uno stato sunnita in Siria, senza libertà religiosa”.
E ancora, rivolgendosi all’intervistatore: “Sai, quando l’esercito siriano si stava preparando per la battaglia di Aleppo, alcuni soldati musulmani sono venuti da me per ricevere una benedizione. Tra musulmani e cristiani non c’è mai stato problema. I massacri sono compiuti da quei radicalisti islamici, ribelli sostenuti dall’Occidente, tutti di Al Qaeda e Isis. Tra loro non ci sono “combattenti moderati”.
Possono sembrare i deliri di un vecchio prete venduto ad un dittatore se non avessimo continua prova dei processi di manipolazione mediatica costruiti a tavolino.
L’ultimo è quello uscito qualche giorno fa sulle “presunte” esecuzioni di massa compiute dal regime nel carcere di Saydnaya: tra i 5000 e i 13000 civili tra il 2011 e il 2014. Un rapporto costruito su prove inesistenti e numeri dedotti da calcoli e proiezioni; basato su testimonianze anonime di personaggi reclutati tra le organizzazioni anti-Assad finanziate dai servizi segreti occidentali e sauditi. Eppure questo rapporto pubblicato da Amnesty Internationa è diventato legge sul nostri media
padre Daniel giubileoDOV’È DIO IN QUESTA GUERRA?

Padre Maes ci aiuta a capire il senso del tempo che stiamo vivendo; il velo di falsità e di bugie che attraversa l’Occidente, che violenta spesso la nostra idea del mondo o almeno, quella che ci viene imposta. E nella sua incredibile umiltà, questo vecchio prete fiammingo rimasto a Qara a proteggere cristiani e musulmani quando l’orda dei mercenari jihadisti occupò la città, apre anche uno squarcio, per molti sicuramente incredibile, sulla manipolazione di ciò che chiamiamo democrazia.
Trovo un suo vecchio scritto pubblicato un anno fa in cui racconta una giornata di incontri, speranze e amicizie tra islamici e cristiani. Ad un certo punto un musulmano gli si avvicina e gli domanda: “Padre, dov’è Dio in questa guerra?”; e lui risponde: “negli uomini di buona volontà”.
Comunque la pensiate, Padre Maes è uno di questi uomini.

giovedì 2 febbraio 2017

Auguri a Lodovico Marchisio per i suoi 70 anni: ospite del ns blog

Pensando di fare al nostro caro e grande Amico, alpinista del Cai, giornalista e sostenitore Lodovico Marchisio, che oggi compie 70 anni, pubblico una recente intervista che gli rende un poco del merito che gli spetta, in tante avventure e in tanto donarsi nella sua vita a tutti noi!


Due chiacchiere con Lodovico Marchisio


di Gabriella Bernardi
Da anni lo si vede scalare montagne, impegnato a realizzare nuove vie, dedicarsi al servizio volontario nei parchi regionali, in prima linea per la difesa della natura e dei suoi animali, ma quando non è in giro non disdegna una scrivania e un computer per scrivere guide, libri e poesie o partecipare a concorsi. È stato anche immortalato in una pellicola amatoriale nei panni di un simpatico ispettore intento a risolvere dei misteriosi casi. Ma chi è veramente Lodovico Marchisio? Iniziamo con ordine.

Quando scocca la tua passione per le montagne e come sei diventato alpinista?
La mia passione per la montagna è iniziata a 14 anni, anche se nessuno dei miei genitori era alpinista ma solo grandi amanti della natura. È nata per caso in una piccola borgata delle Alpi Liguri, Frabosa in Val Maudagna, perché ogni estate andavo lì in villeggiatura con i miei genitori ed ero sempre più attratto da un roccione alto 80 metri che in seguito ho valorizzato. I contadini ci imprestavano le loro corde per legare i vitellini – si pensi quindi che sicurezza potevamo farci senza l’uso di chiodi e moschettoni (era l’anno 1961)! Scoperte le mie “imprudenze”, dettate da una passione più grande di me che mi assorbiva totalmente, mia madre m’iscrisse al CAI sezione di Torino, dove sono tuttora iscritto come reggente di una sottosezione aziendale del circolo Unicredit. Attratto in primo acchito più dal mistero dell’esplorazione che dalla vetta in sé, avevo iniziato calandomi in voragini verticali per scoprire anfratti e grotte che sparivano misteriosamente in abissi senza fine, alcuni con torrenti che come inghiottitoi piombavano con fragore tipico delle cascate in un mondo senza luce, nel vuoto oscuro delle viscere della terra. Inizialmente anche qui mi calavo con scale per raccogliere le ciliegie e senza attrezzatura alcuna: si riusciva così a scendere solo di pochi metri, poi ci si doveva arrendere sospesi su abissi di cui non si scorgeva il fondo, legati a corde di fortuna con la scala che il più delle volte era inghiottita anche lei in quell’immenso vuoto – e il rumore che faceva precipitando ci faceva capire quali profondità avessimo sotto i nostri piedi! Era quindi impensabile riuscire a scoprire con pile e scale improvvisate cosa celasse il mondo nascosto della speleologia, rischiando per contro tantissimo, con seria preoccupazione di chi ci forniva questi rudimentali sistemi di discesa e assicurazione. Non per niente mio nonno materno mi aveva comprato un cannocchiale perché mi aveva sempre affascinato il mistero del cosmo, solo che guardando le stelle non potevo avere risposte concrete, mentre scalando una montagna o scendendo nelle sue viscere potevo soddisfare la mia bramosia di sapere cosa si celasse nella natura attorno a me. Col CAI UGET m’iscrissi a un corso di speleologia, e scoprii il fascino del sottosuolo. Solo che mi mancava troppo la luce del sole; così, verso i 19 anni, iniziai a scalare seriamente le montagne, pur amando tuttora quello che mi aveva donato il mondo sotterraneo”.

Scalare è stata la tua principale attività?
La montagna non è mai stata la mia professione perché, anche se ci ho provato iscrivendomi al corso di roccia nel corpo degli Alpini, la mia carriera militare per diventare istruttore di roccia fu stroncata da un incidente di scalata alla mia prima licenza: infattii caddi in arrampicata da 20 metri nell’orrido di Oulx e il servizio militare lo finii in caserma a Torino perché per un anno dovetti portare un pesante gesso, essendomi fratturato tre vertebre dorsali”.
Dove ti ha portato questa passione?
A scalare le più belle vette delle nostre Alpi, e a trentotto quattromila sugli ottantadue esistenti, che mi hanno permesso di far parte del “Club 4000” di cui sono tuttora socio attivo. Per la nascita della mia primogenita e problemi di lavoro non mi sono mai spinto fuori dall’Europa, e questo resta il mio più grande sogno incompiuto. Oggi non ho più l’età di farlo, quindi la mia più alta vetta delle Alpi resta il Monte Bianco”.

Cosa ti ha dato, ma anche cosa hai dovuto sacrificare, per l’alpinismo?

Più che sacrificare altre mete la mia è diventata una scelta di vita e pur non essendo mai stato un grande alpinista, questa passione mi ha portato a pubblicare 24 libri di montagna dei quali 18 guide di itinerari e sei romanzi autobiografici di montagna; a salire 34 vie nuove tra falesie e via di scoperta, ideando e inaugurando anche cinque nuovi sentieri (Sentiero degli Orridi in Val di Susa, Sentiero Francesco Musso in Val Maudagna; Parco della Dora, tratto Collegno - Torino; Sentiero attrezzato sopra le Cascate di Novalesa; Sentiero Cai 150 ad Avigliana); a diventare accompagnatore d’escursionismo titolato dal Cai rilasciato dalla Commissione Centrale per l’Escursionismo; e a conseguire la specializzazione EEA che mi abilita ad accompagnare anche gli appassionati su vie ferrate”.

Secondo te oggi l’alpinismo è ancora di attualità?

Come ti ho accennato, sono diventato accompagnatore CAI, oggi organizzo e conduco gruppi di appassionati trasmettendo loro le mie emozioni perché dopo aver asceso tante vette, a volte senza guardarmi attorno per la smania di conquistare la cima, ho imparato anche a osservare ciò che mi circonda quando cammino o scalo, per godere appieno della natura. Così riesco a trasmettere a chi mi segue un più ampio panorama di cosa sia la montagna. L’alpinismo è sempre attuale. Cambia il modo in cui si vuole raggiungere una meta”.

Come è cambiato?

I precursori dell’alpinismo ascendevano la vetta in condizioni limite, senza l’attrezzatura odierna e a loro va tutto il grandissimo merito delle conquiste che hanno dato inizio a questa magnifica passione, costata anche tante vite umane. Col passare degli anni tecniche sempre più raffinate, a volte contestabili, con spit, fittoni resinati e nuovi sistemi di sicurezza, hanno un po’ tolto il fascino dell’avventura e del rischio insito, ma hanno anche permesso di superare in tutta tranquillità il fatidico sesto grado di un tempo. Ti faccio un esempio. Io ho due figli alpinisti e Stella, la mia primogenita, ha seguito il marito (campione del mondo di arrampicata sportiva) trasferendosi in Canada. Con mia figlia e mio figlio ho fatto dell’alpinismo di conquista, salendo un’infinità di monoliti che il grande e compianto alpinista e amico Giancarlo Grassi aveva definito “Torri di magia”. Quando mia figlia è diventata campionessa di arrampicata, anche premiata dal Coni come atleta dell’anno, aveva dovuto lasciare la magia della vetta per conquistare “una catena” o il “traguardo” in una gara, che sono il punto di calata in quanto la meta non è più un punto ideale da raggiungere, ma il superamento massimo della difficoltà fine a se stesse”.

Cosa intendi promuovere o comunicare quando organizzi gite o uscite in Piemonte o nelle regioni confinanti?

Ti rispondo con il motto che mi è più caro: La vita ha per me uno scopo solo se le emozioni che ho avuto la fortuna di provare, riesco a trasmetterle agli altri per condividerle. Grazie al cielo il mio secondogenito Walter abita con la sua compagna e un’adorabile bambina a soli trenta chilometri da me e insieme continuiamo a scalare, anche se l’età mi pone dei limiti inevitabili”.
 Non t’interessano solo le vette o il percorso ferrato, ma sei impegnato da anni sul fronte della tutela della fauna …

Sono anche un operatore naturalistico regionale a difesa del territorio montano e faccio tuttora parte della Commissione Tutela Ambiente Montano del Piemonte e Valle d’Aosta di cui sono stato anche presidente sino a fine mandato. Ho avuto e ho esperienze incredibili, non sempre portate a casa con i risultati sperati perché sia nella caccia che nell’abuso del territorio ad uso speculativo, vi sono così grandi interessi economici ed è difficile cambiare le cose, anche se ci batteremo sempre per salvaguardare l’ambiente. Sul discorso “difesa degli animali” conosci come mi sia battuto e lotti tuttora per loro … “

Non è insolito incontrarti a premiazioni di concorsi letterari: oltre ad aver scritto tanti libri tecnici sulla montagna, sei appassionato anche di prosa e poesia?

Certo che sì. Con la poesia e la narrativa puoi trasporre la realtà in sogno e viceversa. Mi viene spontaneo commuovermi, da sentimentale quale sono, se penso a come miscelando il tangibile con l’intoccabile si sfiorino i margini della vita stessa”.

È recente l’inaugurazione di un ponte tibetano su una via ferrata, poco sotto la Sacra di San Michele in Val di Susa: quale è stato il tuo contributo?

Del ponte sospeso sulla nuova via ferrata della Sacra non ho merito alcuno, se non come Osservatorio Ambiente poiché sia le amministrazioni locali sia i costruttori hanno dovuto prendere in considerazione le nostre, e di tanti altri, segnalazioni di come il vecchio percorso potesse disturbare la colonia di camosci che vive e si sposta lungo le falde rocciose del Monte Pirchiriano”.
Chi può accedere a questo ponte?

Con un kit da ferrata omologato (imbragatura, casco, etc.) chiunque può avvicinarsi a questi percorsi: mai da soli, però. Oggi di questi ponti ne esistono a centinaia sulle nostre Alpi. Il toponimo era nato dai primi ponti tibetani costruiti per attraversare torrenti ed ostacoli durante le spedizioni himalaiane. Ne esistono di tutti i tipi. I più difficili sono quelli chiamati “ponte de singe” costituiti da una fune per i piedi e due per la mani, più un cavo (a volte) ove far scorrere i moschettoni di sicurezza. I più ostici sono poi quelli per “acrobati” con soli due cavi di sostegno (uno per i piedi e uno per la mani), ma questi come alcuni passaggi di forza che superano tetti e strapiombi costruiti su alcune ferrate, secondo me accontentano solo i rambo e senza una via di fuga accanto, costituiscono invece una difficoltà troppo elevata per i meno avvezzi. Ma questo discorso varrebbe un capitolo sé stante”.

Altre passioni in agguato?

Con due validissimi coautori aviglianesi stiamo per ultimare quello che per me sarà il venticinquesimo libro pubblicato. Un progetto editoriale riguardante Avigliana, dove ora vivo, città medioevale dal cuore verde. Libro imperniato sul camminare ad Avigliana e dintorni, trenta capitoli con descrizioni dettagliate degli itinerari e richiamo ai punti di interesse storico, artistico e naturalistico, ai luoghi e personaggi dello sport, ai Maestri del gusto e alle eccellenze gastronomiche del territorio. La prima presentazione, prevista nella seconda quindicina di marzo, sarà nella Sala Consiliare di Avigliana. Per finire, parlare di passioni in agguato alla soglia della settantina mi sembra un po’ avveniristico. I miei sogni più immediati sarebbero quelli di vedere mio figlio con un lavoro stabile e poter almeno una volta far visita a mia figlia e alle nipotine in Canada”.